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Enviado por   •  23 de Noviembre de 2013  •  Ensayos  •  1.207 Palabras (5 Páginas)  •  220 Visitas

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Possiamo considerare il gioco degli scacchi in due modi diversi. Secondo la prospettiva Deleuziana gli scacchi sono un gioco che si gioca in uno spazio striato. Ma in questo lavoro si vuole proporre il gioco degli scacchi come gioco che avviene in uno spazio liscio. Tanto per cominciare alla base degli scacchi che c’è una disgiunzione fondamentale, quella tra il bianco ed il nero che da origine al ritmo della partita in un’alternanza tra i movimenti dei bianchi e quelli dei neri. Senza questo non potrebbe iniziare la partita: i bianchi devono muovere per primi. Vedremo come una partita a scacchi sia l’espressione di tale movimento, e come le sue regole siano anch’esse immanenti all’effettivo svolgersi del gioco. Il movimento a L del cavallo immanente al muoversi dei cavalli all’interno delle partite. Le regole del gioco infatti sono interne alla pratica del gioco stesso, che ha anche altri elementi, per esempio affinchè ci sia una partita è necessario che entrambi i giocatori giochino per vincere.

Perché ci sia espressione è necessario che il gioco si sviluppi su un piano a due facce: da un lato c’è il gioco nella sua complessità dall’altro c’è la partita data: il gioco si esprime nei suoi pezzi e i pezzi si esprimono nelle loro mosse, che sono il loro cambiamento. Conseguentemente, dato che ciascun pezzo esercita una funzione diversa a seconda della partita che gioca, i pezzi degli scacchi sono potenzialmente infiniti, ma contemporaneamente all’interno di una partita non vanno considerati ciascuno per conto suo, ma tutti insieme, perseguendo un fine che è a loro immanente(si pensi al fatto che dare matto è ben diverso da mangiare il re). Questo comporta anche che insieme al gioco degli scacchi, ci sia una cultura degli scacchi, che porta i giocatori a giocare in un modo piuttosto che in un altro, basti pensare al fatto che ciascun giocatore gioca in base alla sua esperienza in partite differenti, quindi il gioco stesso evolve col proliferare stesso delle partite.

Ma come si gioca considerando il gioco come un gioco in uno spazio liscio?

Sarebbe opportuno partire dall’analisi di una partita, giacchè come abbiamo detto il gioco non esiste fuori dalle partite realmente giocate, e conseguentemente, non è comprensibile fuori da esse. Si tratta del celebre matto di Legal.

1: e4, e5;

2: Cf3, d6;

3: Ac4; Ag4

4: Cc3, g6;

5: Cxe5, Axd1;

6: Axf7+, Re7;

7: Cd5‡

Dopo la quinta mossa, ci troviamo in una situazione particolare, detta matto imparabile. Qualunque mossa il nero faccia, non può che perdere, è quindi chiaro che il bianco ragioni deduttivamente, in quanto avendo visto la possibilità di vincere, tutte le mosse ne discendono in modo forzato, le mosse esprimono in modo certo quello che è il realizzarsi del gioco, e portano la partita alla sua conclusione. Il fine del gioco (lo scacco matto), appare quindi come una parte indissolubilmente legata al gioco, e non come qualcosa di esterno ad esso, non si tratta semplicemente di mangiare il re, il re non viene mai effettivamente mangiato, la partita infatti ha fine col matto, e non può nemmeno essere lasciato in presa (il giocatore che lascia inavvertitamente il re in presa non perde la partita, ha semplicemente fatto una mossa illegale), lo scacco matto si pone in un rapporto di immanenza col gioco, e col divenire che in esso si manifesta, esso è causa di un concatenamento di mosse, ma è una mossa esso stesso.

La particolarità più evidente di questa partita è il sacrificio di regina che permette al bianco di mattare, il nero opera una manovra molto comune in apertura che consiste nell’inchiodare il cavallo con l’alfiere, se il cavallo si muove l’alfiere mangia la regina, ma anche non considerando che il nero non ha visto il matto imparabile che segue a 5 :Cxe5, … il nero ha commesso un errore. È senz’altro vero che come insegna la teoria degli scacchi che usando il pedone come unita di misura ed assegnandoli il valore di 1 punto, l’alfiere vale 3 punti e la regina ne vale 10, quindi in linea di massima conviene cambiare un alfiere per la regina, ma questo è dovuto al fatto che la regina ha una maggior possibilità di muoversi, degli altri pezzi, e conseguentemente è facile che in una partita esso sia un pezzo più potente, ma esso è realmente potente solo quando esprime il gioco come movimento e tensione al matto, la sua potenza non è trascendente rispetto alla partita. Ciascun pezzo esprime il movimento che sta alla base del gioco in modo diverso, ovvero in modo simile a come i diversi organi di senso dell’essere umano possono esprimere qualcosa di diverso di una stessa realtà, questo tipo di espressione è genetica, in quanto i pezzi attraverso i movimenti loro peculiari generano le combinazioni. Ma il gioco è effettivamente prodotto attraverso le mosse che questi pezzi effettuano, che hanno come cause concatenamenti con altre mosse. Quindi i pezzi possono essere potenti solo in quanto riferiscono il gioco alle mosse e le mosse al gioco, non quindi in modo trascendente.

Come ragiona invece un giocatore quando non può calcolare tutte le mosse che lo separano dal matto? Tanto per cominciare egli vede per via puramente intuitiva, delle mosse che lo potrebbero portare in vantaggio, ma questo non basta, egli deve avvalersi di finzioni per confermare le proprie intuizioni. Egli deve immaginare quali sarebbero le possibili mosse, sia sue che dell’avversario, che lo succederebbero alla mossa che intuitivamente gli sembra più corretta. Questo lo può portare a vedere combinazioni di matto imparabile, ma nella maggior parte dei casi non è così, egli quindi deve avere quella che si chiama “visione del gioco”, ovvero la capacità di cogliere quali sono le posizioni più vantaggiose, senza collegarle direttamente al matto. Questa è una capacità che è simile a quello che in musica si dice “andare ad orecchio”. E’ impossibile definire con esattezza come si possa distinguere una posizione migliore da un’altra, ma questo è dovuto al fatto che il gioco degli scacchi è potenzialmente infinito, anche la minima differenza tra una partita e un’altra apre un’infinita di varianti possibili, che come tali sono impossibili da calcolare. Ma si può comunque dire che una posizione più forte in certo qual modo esprime di più il gioco stesso, rispetto a una posizione più debole. Infatti l’intuizione del giocatore proviene dalla visione della scacchiera stessa, così che una posizione più forte suggerisce con più insistenza le mosse da fare. Questo perché la correttezza di una mossa è legata allo svolgersi della logica stessa del gioco, e quindi all’approssimarsi del matto. Più è vicino il matto più una posizione è forte. Le partite sono così le parti di un tutto che è il gioco, ma non per questo sono incomplete, ciascuna di esse ha una sua compiutezza, ed esprime in modo diverso il gioco. Essendo il gioco infinito, trovare dei criteri trascendenti che permettano di giocare meglio una qualsiasi partita sarebbe paradossale come tentare di misurare l’infinito, se l’infinito è composto di infiniti centimetri è in ugual misura composto di infiniti metri, sebbene un metro sia notoriamente più lungo di un centimetro. Se esistesse un criterio universale per giocare meglio, esso racchiuderebbe tutte le varianti possibili del gioco, oppure ci sarà sempre un caso in cui questo criterio fallirebbe.

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